Un po’ di Madagascar a Milano: ‘Made for a Woman’ e gli accessori in rafia sostenibile.

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Anna Quirino

Atmosfere indimenticabili, spiagge paradisiache e una natura incontaminata caratterizzano il Madagascar; altissimi grattacieli, luci e un’affascinante frenesia sono le peculiarità di Milano: cos’hanno in comune queste due città?

Qui a “The Green Side Of Pink” abbiamo trovato un trait d’union innovativo tra due realtà apparentemente inconciliabili: il suo nome è “Made for a Woman”, ed è un brand sostenibile italo-malgascio.

Il brand è stato fondato nel 2018 da Eileen Akbaraly, giovane attivista (ha lavorato con diverse associazioni umanitarie, tra cui “4aWoman Onlus” e “Fitiavana Association”), di origini italo-indiane ma cresciuta in Madagascar, dove è entrata sin da subito in contatto con le mille contraddizioni di questo paese.

“Made for a Woman” realizza borse, cappelli e accessori per la casa in rafia, una fibra ecologica e riciclabile, che viene tinta con pigmenti azo-free (privi di metalli pesanti) e con tinture naturali. Alla base di tutto c’è l’idea che i prodotti vengano lavorati interamente a mano da donne artigiane, provenienti dai villaggi rurali. L’obiettivo del brand e di Eileen Akbaraly è di “migliorare la vita di queste donne”, come lei stessa ci racconterà, grazie ad iniziative umanitarie.

Dopo averla incontrata a settembre, in occasione dell’esposizione “White Show” di Milano, a cui abbiamo partecipato, siamo riusciti a chiacchierare con Eileen che, direttamente dal Madagascar, ci ha raccontato del suo progetto e delle ultime novità nel mondo “Made for a Woman”, che nell’ultimo anno ha fatto un salto di qualità, grazie al costante interesse della stampa e di molti buyers internazionali.

Intervista ad Eileen Akbaraly

  1. Ciao Eileen, grazie per averci concesso questa intervista! Per cominciare, raccontaci cos’è “Made for a Woman”, da dove nasce e perché

Grazie a voi! “Made for a Woman” nasce da un mio progetto personale: io sono per metà italiana e per metà indiana, ma ho vissuto in Madagascar fino ai 18 anni. La mia terra è uno dei paesi più poveri al mondo, ed io ho sempre voluto far qualcosa per aiutare la popolazione malgascia.

Ho cominciato con il volontariato, fondando l’associazione “4aWoman Onlus”, grazie alla quale ho aiutato più di 10.000 bambini. Dopodiché, in seguito ai miei studi di Fashion Business all’Istituto Marangoni, mi sono specializzata conseguendo un master in “Corporate Social Responsability” e i due mondi, la moda e il lavoro umanitario, si sono incontrati.

Lavorando in India con alcuni stilisti, ho avuto modo di vedere che le condizioni di lavoro delle persone erano pessime, e gli artigiani più che svantaggiati. Sono dunque tornata in Madagascar e nel 2019 ho fondato il mio brand.

2. Da dove deriva il nome “Made for a Woman?”

La scelta del nome “Made for a Woman” non è casuale: il brand si chiama così perché è dedicato alle donne. Nella cultura malgascia, le donne sono forti e piene di responsabilità, spesso hanno 5/6 figli e i loro mariti non le aiutano, dunque sono loro il pilastro della famiglia.

Ho fondato “Made for a Woman” per migliorare la vita di queste donne, per dare loro una voce. L’obiettivo del brand a lungo termine è vedere un miglioramento nelle loro vite e nelle vite dei loro bambini: la parte “business” del progetto serve proprio a sostenere il lavoro umanitario.

Come associazione, oltre che come brand, offriamo corsi di family planning e corsi di lingue. Inoltre, abbiamo degli spazi dove delle tate si occupano dei bambini mentre le loro madri lavorano. Tra poco cominceremo a collaborare con degli psicologi, dato che l’85% delle donne sono vittime di violenza domestica e spesso molto vulnerabili.

Oltre ai corsi e all’aiuto psicologico, forniamo medicine gratuite, sia alle donne che alle loro famiglie. Abbiamo anche istituito dei savings account (conti di risparmio, ndr.) per far mettere da parte dei soldi alle nostre lavoratrici. L’idea è di aiutarle a gestire i loro soldi per renderle indipendenti.

Una delle ultime novità è la collaborazione con dei centri di rieducazione: vogliamo aprire dei centri in cui creare delle linee a parte per queste donne, dove tutto il ricavato viene impiegato per la loro reintegrazione.

3. Descrivi il tuo brand con tre aggettivi

Colorato, naturale, genuino.

4. Sotto quali aspetti “Made for a Woman” è sostenibile?

Essendo un brand che affonda le sue radici in Madagascar, da “Made for a Woman” siamo attentissimi all’ambiente e alla biodiversità. Per me tutto deve essere il più “clean” possibile.

I nostri prodotti sono realizzati esclusivamente con rafia etica, dalla provenienza trasparente. Abbiamo il certificato GOTS, che attesta che utilizziamo pigmenti naturali o azo-free, privi di metalli. Lavoriamo solo con fornitori i quali collaborano con parchi protetti, e che in un anno reimpiantano più di 1 milione di alberi. Possediamo il certificato BSCI, che attesta la nostra etica del lavoro (offriamo salari più alti del salario minimo del Madagascar e non esponiamo i bambini al lavoro minorile).

5. Secondo te cosa è cambiato dopo lo scoppio della pandemia da COVID-19, e cosa cambierà ancora nell’industria del fashion?

Penso che purtroppo tante piccole aziende chiuderanno perché non hanno più fondi. Trovo che la gente sia un po’ persa, e in giro c’è tanta tristezza. Questo lo vedo attraverso i miei amici in Europa, perché qui in Madagascar i miei coetanei hanno molta più determinazione e ambizione, sono molto più creativi. Ci sono tante cose da fare e da cambiare, perché non esiste praticamente nulla di già pronto.

Per fortuna in ambito sostenibilità sono già 4/5 anni che c’è sensibilità e attenzione verso l’argomento. Trovo che persone importanti come i social influencers stiano cambiando percorso e promuovendo sempre di più uno stile etico, e anche se alcuni lo fanno per interesse personale, l’importante per ora è che lo si faccia.

6. Cosa pensi che l’industria fashion potrebbe fare per migliorare in ambito sostenibilità?

Io credo che il problema sia che nella moda c’è tanto (troppo) da sognare: la moda vende delle storie, delle “raffigurazioni”. L’acquirente decide di far parte di una storia in particolare, e dunque acquista da un brand piuttosto che da un altro. Quando però si “compra un sogno”, si fa fatica a vedere la realtà, il backstage. Le storie che ci sono dietro dei prodotti da sogno spesso sono storie assurde, con alla base sfruttamento e nessun diritto, come nel caso delle lavoratrici bengalesi che non riescono a far ritorno dalle loro famiglie.

Per quanto mi riguarda andrebbero equilibrate la parte “front-scene” con la parte “back-scene”, dovrebbero esserci più genuinità e trasparenza, più realtà e meno fuffa.

7. Prossimi progetti in cantiere?

Innanzitutto abbandonare l’idea di “collezione”. Non mi piace affatto l’idea di stagione, dover lavorare in modo disumano per 3 mesi e restare con le mani in mano il resto del tempo. Io, con “Made for a Woman”, vorrei far parte di uno “slow fashion market”, sempre restando nel settore del lusso, perché comunque gli accessori “Made for a Woman” sono pezzi unici, mai uguali gli uni agli altri e realizzati interamente a mano.

In più, ho un progetto in cantiere per quanto riguarda il sito. Oggi, quando si acquista un capo “Made for a Woman”, si trova un codice QR sull’etichetta che, se scannerizzato, reindirizza alla storia della donna che ha realizzato il prodotto. Tra qualche tempo, con il nuovo sito, le clienti potranno parlare direttamente con le artigiane, instaurando con loro un dialogo diretto e conoscendole meglio.

8. Bene Eileen, ti ringraziamo per aver chiacchierato con noi e ti auguriamo il meglio per il tuo progetto!

Grazie a voi! Quando passerete dal Madagascar sarò felice di mostrarvi il nostro lavoro.