Edifici folli? No grazie!

Reinterpretare il confine tra paesaggio e architettura

Visual Curator
Mariagiovanna Amodeo
Spanish Translation
Andrea Terrado
English Translation
Rebecca Verrascina

Volumi appoggiati su un piano/paesaggio indifferente. Architetture folli che sembrano originate da uno specchio deformante. Nessuna continuità tra edifici e ambiente naturale, piuttosto un netto contrasto tra essi quasi a voler affermare la perdita di senso di questi edifici. Lo smarrimento del contesto. Le topografie folli. Le morfologie di contenitori a-contestuali, di folli volumi senza paesaggio. Di questa architettura fatta di “Edifici folli” ci parla Junya Ishigami. In una recente intervista espone il suo punto di vista e propone un nuovo percorso.

Non voglio costruire edifici folli

Edifici come topografie

Junya Ishigami è un architetto giapponese (classe 1974). Per lui la sfida è concepire edifici come topografie, dissimulati nel paesaggio, ispirati alle forme della natura. Una strada indicata da altri architetti (si pensi ad Emilio Ambasz).

Ora Ishigami propone un nuovo percorso: lasciare che sia la natura a dare forma all’architettura, giocare sull’ambiguità del rapporto interno-esterno, fare di natura e artificio elementi inscindibili. Ma questo non è forse fare come ha fatto per secoli l’architettura tradizionale?

Patterns insediativi

I patterns insediativi storici, determinati da un più profondo conoscere dell’ambiente e del paesaggio, in cui si situa l’architettura, non sono forse i suoi punti di forza? Vengono in mente le analisi sempre attuali del “Pattern language” di Christopher Alexander (libro del 1977), dove viene illustrato un linguaggio derivato da entità senza tempo chiamate patterns.

Come scrivono gli autori nell’introduzione, “I patterns insieme formano un linguaggio”. Ma questi modelli descrivono anche un problema e offrono una o più soluzioni. In questo modo forniscono alle persone comuni, non solo ai professionisti, un modo per lavorare con i loro ambiti per migliorare una città, un quartiere, un edificio; per progettare una casa per se stessi o lavorare con un team; per disegnare un ufficio, un’officina un edificio pubblico, una scuola. Senza ricorrere all’espediente dell’edificio folle.

Incontro tra natura e architettura

La ripresa di questo approccio compare senza equivoci nel lavoro di Junya Ishigami. Egli, a più riprese, ha affermato di cercare “un modo di progettare che sia punto di incontro tra natura e architettura. Sfumare quel confine ci consente di vivere in una vicinanza assoluta con qualunque altro elemento nell’ambiente”.

Un modo di progettare che sia punto di incontro tra natura e architettura. Sfumare quel confine ci consente di vivere in una vicinanza assoluta con qualunque altro elemento nell’ambiente

Spazi sepolti

Nel Groot Vijversburg, una villa storica con parco a Tytsjerk (Olanda), l’architetto ha realizzato, nel 2017, un Visitor Center. Il complesso sembra emergere dagli stessi percorsi del bosco. Ishigami afferma di aver “rinvenuto gli spazi sepolti nel paesaggio” per dare forma all’idea. La costruzione serve per ospitare mostre, concerti, conferenze ed eventi. Di fatto il centro visitatori è un percorso coperto che conduce a Villa Vijversburg. È delimitato da vetrate, in modo da garantire l’armonico inserimento nel parco. Moltiplicando le visuali, fino a restituire ad esse, e non all’edificio, il ruolo di vere protagoniste dell’insieme.

Bosco acquatico

Il bosco è centrale anche nel Botanical Farm Garden Art Biotop / Water Garden che Ishigami ha realizzato in Giappone. È uno scenario apparentemente naturale, ma in realtà creato dal nulla, proprio come un’architettura. Dove un tempo c’era una risaia oggi c’è un pattern di piccoli stagni circolari. Fra essi il progettista ha fatto trapiantare alberi eradicati da un’area adiacente, per far spazio ad un’altra costruzione. Il risultato è un magico “bosco acquatico”. Studiato come un paesaggio incantato. In cui perfino l’acqua del vicino torrente fluisce in modo programmato fra gli stagni, a diverse velocità. E produce sensazioni e suoni diversi. Un luogo perfetto per la meditazione nella migliore tradizione paesaggistica giapponese. Ma che ricorda anche Carlo Scarpa, seppure in una versione del tutto “naturalistica”, prendendo molto dal senso orientale della natura. Si assiste al coinvolgimento dei sensi, la meditazione, l’equilibrio al contrario di quanto accade con gli edifici e i paesaggi, folli.

La natura artificiale

Quello che Junya Ishigami mette nei progetti non è solo una sensazione. Qui si potrebbe parlare di una vera e propria filosofia del costruire. La “natura artificiale” è un tema costante nel suo lavoro. È una natura antropizzata che però, allo stesso tempo, non nega il suo carattere naturale, né la profonda attitudine “paesaggistica” del suo lavoro di progettazione. Afferma “per me l’architettura non è solo opera dell’uomo. E anche l’architettura dovrebbe essere uno degli elementi dello scenario. Quindi l’architettura in sé non è importante, ma l’importante è il rapporto con l’ambiente circostante”.

Ed è forse in questo punto di vista che si concentra il valore essenziale del pensiero di questo architetto che sa interpretare il declino come opportunità per una riscoperta. In altre parole un’architettura ricavata “in negativo”, per sottrazione. È un’architettura topografica che appartiene al paesaggio proprio perché è da lì che ha origine in cui l’aspetto naturale si manifesta con forza, conferendo agli spazi la sensazione di luoghi.

Per me l’architettura non è solo opera dell’uomo, e anche l’architettura dovrebbe essere uno degli elementi dello scenario. Quindi l’architettura in sé non è importante, ma l’importante è il rapporto con l’ambiente circostante

Molte soluzioni

Junya Ishigami sintetizza così il suo pensiero: “dobbiamo inventare molto, credo. Oggi ogni persona crede in un futuro diverso. Ne ha un’immagine diversa. Quindi forse il ruolo dell’architetto in quest’epoca non è quello di creare una soluzione, ma di creare molte soluzioni diverse. Io m’ispiro alle condizioni o all’ambiente esistente in ogni progetto. Il punto importante è che l’architettura si trova a metà strada tra l’opera dell’uomo e la natura. Voglio creare un buon equilibrio con l’ambiente circostante”. E infine, a chiudere ogni polemica, afferma: “la sostenibilità è molto importante, ma allo stesso tempo penso che anche l’equilibrio sia importante”.

Per approfondire: Intervista a Junya Ishigami

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