Poco Disegno, ma tanta dedizione per uomo e materia!

Traduzione
Sara Bargiacchi
Scritto da
Paolo Di Gennaro

In concomitanza del Supersalone del mobile 2021 e della frenesia per gli accattivanti eventi che (come già anticipato qui) anche quest’anno lo hanno accompagnato, cogliamo l’occasione per soffermarci su una modalità di fare design apparentemente più dimessa, tanto quanto più impegnata sul fronte della sostenibilità. Lo facciamo prendendo in esame l’impegno per una progettazione responsabile con cui si sta facendo strada una giovane coppia di progettisti. Insieme e non a caso, hanno scelto di identificarsi con Poco Disegno, ma tanta dedizione per uomo e materia!

Chi sono e come nascono i Poco Disegno?

Basato a Moncalieri (TO), Poco Disegno è un emergente studio di design industriale fondato da Gianluigi Frezzini e Fabrizio Gagliano con il naïve obiettivo di riportare l’attenzione su una concezione di progetto che ne ribadisca la funzione di strumento per migliorare la vita quotidiana. Convinti che il design industriale abbia il potere/dovere di incentivare il progresso culturale, sociale e, oggi più che mai, ambientale, i due designer piemontesi hanno intrapreso una strada sicuramente non facile in un settore che non ha potuto fare a meno di cedere al fascino dell’instagrammabilità.

Poco Disegno: Gianluigi Frezzini e Fabrizio Gagliano

Sono stati, infatti, da sempre attratti dall’approccio umanistico dei progetti nati da semplici intuizioni sull’ordinario, banalmente analizzando i cambiamenti sociali. Hanno poi coltivato l’attitudine a “progettare per migliorare” a partire dai tempi post-universitari quando iniziarono a concretizzare i loro progetti accademici, rieditandoli e prototipandoli. Sin da subito, infatti, hanno riscontrato che il design contemporaneo si sta facendo manchevole di validi contenuti, a favore di sterili esercizi formali. Al contrario, loro hanno convintamente deciso di riportare l’attenzione sulle esigenze e, soprattutto, sui temi della contemporaneità.

Il loro è, dunque, un faticoso tentativo di spostare il focus di una disciplina sempre più accostata a questioni di stile verso un’estetica impregnata di valori condivisibili.

Ma in che modo Poco Disegno persegue la missione di progettare responsabilmente?

Innanzitutto incentrando il processo progettuale su un approccio antropologico. Non è un caso che Gianluigi e Fabrizio mirino all’essenza in ogni progetto in cui sono coinvolti. È attraverso la rimozione del futile, infatti, che il giovane studio persegue l’obiettivo che di fatto lo contraddistingue. Rispondere alle principali questioni che attanagliano il contemporaneo, quali la sovrapproduzione, l’inquinamento dei processi logistici ed il fast-shopping. Nel farlo, si propongono di incentivare un tipo di innovazione che abbia un impatto positivo su più fronti.

Così, identificando dapprima tutte le possibili esigenze funzionali di un oggetto, quali l’usabilità, i processi di lavorazione, la durabilità e il ciclo di vita, lasciano che le idee evolvano e non nascano dal nulla. Inoltre, seguendo l’intero processo di ricerca, sviluppo e produzione, grazie all’appoggio di dedicati esperti a cui di volta in volta si rivolgono, riescono a far sì che i prodotti finiti sul mercato con la firma Poco Disegno siano tanto rilevanti quanto coerenti al proprio approccio. Ciò perché, per prendersi cura degli altri, occorre comprendere nel profondo quali siano le richieste dell’oggi. Senza intrappolarsi nelle convenzioni ormai sedimentate.

Poco Disegno

Ma, quindi, come si traduce concretamente quest’approccio responsabile al design?

L’esempio più esplicito del modo in cui Poco Disegno materializza l’invito a ripensare il nostro rapporto con gli oggetti è U211, l’ombrello per la vita. Gli ombrelli sono accessori piccoli, poco costosi e per questo considerati usa-e-getta. Anche perché si rompono con una rinomata semplicità. Come potevano dunque loro migliorare il design di un simile prodotto da sempre rimasto invariato?

Collaborando con l’Ombrellificio Torinese, un piccolo laboratorio artigiano che da cinque generazioni si dedica ad assicurare la durevolezza degli ombrelli con filati ad alta tenacità e cuciture orlate a quattro strati, hanno compreso che la vera questione da risolvere era insita nei giunti. Basta romperne uno per danneggiare l’intero meccanismo e quindi dover ricomprare un nuovo ombrello. Per di più, riciclare il vecchio non è un processo così banale. Occorre separarne le diverse componenti tenendo anche conto delle colle che le tengono unite.

Poco Disegno, U211

Così, attraverso un lungo lavoro di ricerca e confronto con diverse aziende, tra cui Appiani, hanno introdotto nel mercato un ombrello duraturo e facile da riparare. Ciò grazie ad un meccanismo che evita l’uso di colle ma si basa su due sole viti. Una che fissa il manico e l’altra per il meccanismo. In questo modo, U211 è interamente smontabile e le sue componenti possono essere facilmente sostituite. Ma non è tutto. Ogni elemento è anche riciclabile. L’asta è di alluminio, il meccanismo è in plastica PET (polietilene tereftalato, un poliestere riciclabile al 100%) e la fodera di tessuto riciclabile. Ecco cosa significa progettare oggetti concepiti per durare ed essere riparati all’infinito.

E nell’arredo, come raggiunge Poco Disegno simili risultati?

A quanto pare no! Anzi, la loro Stacky collection dimostra proprio che, in virtù di una spiccata sensibilità sostenibile, è possibile e doveroso innovare senza inquinare, ma con profondo rispetto verso uomo e ambiente.

Insieme a Plart, un brand di oggetti in polietilene appartenente al Gruppo Cornaglia, Poco Studio ha di fatti realizzato una famiglia di arredi impilabili in stampaggio rotazionale (rotomoulding) che ottimizza gli spazi di spedizione, diminuendo così i costi e l’inquinamento che ne deriva. Per chi non lo conoscesse, il polietilene è un materiale atossico, riciclabile al 100%, resistente alle basse ed alte temperature, agli urti e ai raggi solari. Tuttavia, i prodotti roto-stampati richiedono generalmente molto spazio per la spedizione a causa delle loro dimensioni. Non a caso, è un processo per lo più applicato per le forniture da esterni.

Poco Disegno, Stacky Collection

Ciò che i due designers hanno fatto è dunque stato mantenere nel progetto solo le superfici e le componenti necessarie ad assolvere alle funzioni a cui l’arredo era destinato, facendo poi sì che l’intero volume fosse impilabile. Smussando dunque gli spigoli hanno dato stabilità alla struttura in plastica, garantendo altresì una migliore qualità percepita.

La domanda che a questo punto sorge spontanea è: non è arrivato il momento per l’industria del design tutta di unire definitivamente estetica, profitto ed etica?

Senza cedere a trends e stilemi, i Poco Disegno dimostrano che la fusione di praticità, strategia, poesia e sostenibilità è tutt’altro che inarrivabile. Schierandosi a favore di visioni talvolta controcorrente, ma tali da riuscire ad attribuire nuovi significati ai nostri comportamenti quotidiani, stanno riuscendo a guidare più aziende verso una produzione più attenta e allo stesso tempo proficua.

Del resto, prendendo come principale modello di riferimento le produzioni Danese degli anni ’60, che, per chi ne ha avuto la possibilità di venirne a conoscenza, erano portatrici di contenuti di senso risolti con una forma minimale, Poco Disegno attribuisce molta più importanza ad un accorto approccio progettuale che al semplice progetto di meravigliosi oggetti.

Danese, Timor, Enzo Mari 1967

Ecco perché il design per loro è molto di più di un’attività di consulenza. Quello di Poco Disegno è, infatti, un modo per dare un piccolo contributo all’evoluzione che ci vede tutti protagonisti e allo stesso tempo coinvolti, debitori e indispensabili.